In data 5 maggio, il Decreto Lavoro n. 48/2023 è entrato in vigore introducendo alcune novità nel campo delle misure fiscali per il welfare aziendale. Tra queste, spicca l’innalzamento del limite di esenzione dei fringe benefit a 3.000 euro per dipendenti con figli a carico, ma sorgono delle problematiche in merito a questa decisione.
Il limite di esenzione dei fringe benefit 2023
La nuova norma prevede un nuovo tetto di 3.000 euro per i fringe benefit 2023, ovvero i bonus aziendali non tassati (beni e servizi compresi i rimborsi per le bollette o i buoni benzina o buoni spesa) esclusivamente per i lavoratori con figli a carico (sono compresi i figli nati fuori del matrimonio riconosciuti, i figli adottivi o affidati) e limitatamente al periodo d’imposta 2023. Per i lavoratori senza figli, il limite di esenzione rimane di 258,23 euro.
Per usufruirne, i lavoratori interessati devono fornire al datore di lavoro un’autocertificazione in cui dichiarano di essere legittimati a tale esenzione, fornendo il codice fiscale dei figli. Inoltre, il datore di lavoro ha l’obbligo di informare le rappresentanze sindacali unitarie, se presenti. Questa comunicazione non richiede un parere o un’autorizzazione da parte delle rappresentanze sindacali, ma ha uno scopo puramente “informativo”.
Una norma poco democratica che genera disparità tra i lavoratori
Una delle principali critiche proviene dai sindacati e da Aiwa, l’associazione che riunisce i provider di welfare aziendale in Italia, che considerano questa misura poco democratica e potenzialmente generatrice di disparità tra i lavoratori. Secondo Roberto Benaglia, segretario generale della Fim Cisl, sebbene il sostegno alla genitorialità sia un principio giusto, la norma risulta difficile da gestire e applicare, soprattutto tenendo conto della necessità di evitare discriminazioni da parte delle imprese nella gestione dei benefit.
In un comunicato stampa, il sindacato chiede al governo di tornare al confronto con le parti sociali e di aumentare per tutti i lavoratori il limite di 258,23 euro, che non viene modificato da oltre 30 anni, e che dovrebbe essere adeguato ai livelli salariali attuali. Secondo Fim-Cisl, tale limite dovrebbe essere elevato a 1.000 euro e applicabile a tutti i dipendenti.
Anche Aiwa ha evidenziato che potrebbe essere difficile per le imprese con codici etici rigorosi o regolamenti anti-discriminazione rivolgere piani di benefit specifici solo ai dipendenti con figli. L’associazione ha inoltre sollevato perplessità riguardo alla capacità della nuova norma di incentivare la genitorialità. Infatti il provvedimento terminerebbe a fine 2023, un periodo addirittura inferiore ai nove mesi di gravidanza.
Inoltre, secondo la relazione tecnica che accompagna il provvedimento, le coperture finanziarie stanziate dal governo sarebbero calcolate solo sulle minori entrate di imposte sul reddito delle persone fisiche (Irpef) e delle addizionali regionale e comunale. Ciò significa che le erogazioni di benefit o il rimborso delle bollette fino a 3.000 euro godrebbero di esenzione fiscale, ma non contributiva. Di conseguenza, le aziende si vedrebbero aumentare i costi obbligatori dei contributi, pari a circa il 30%. Questo potrebbe ridurre l’appeal della misura per i datori di lavoro a causa dell’aumento dei costi aziendali.
Il welfare puro: un’alternativa più efficace per supportare i dipendenti con figli a carico
Al di là delle questioni sindacali e politiche, l’aspetto critico più rilevante riguarda l’iniquità e gli squilibri che questa norma può creare. Sembra che il legislatore non abbia tenuto pienamente conto delle leggi già esistenti che riguardano il welfare aziendale.
Se l’obiettivo era premiare i lavoratori con figli, esisteva già uno strumento appropriato chiamato welfare puro, che dimostra inoltre una maggiore efficienza e flessibilità rispetto al nuovo e non ha limiti di esenzione, quindi potrebbe superare la soglia di 3.000 euro. Con piani di welfare articolati per tutti i dipendenti, che prevedano anche il welfare puro, è possibile adottare un approccio basato sui carichi familiari, creando categorie omogenee specifiche per i lavoratori con figli a carico. Questo sistema consente ai dipendenti di detrarre le spese per i propri figli, tenendo conto di asili, mense, testi scolastici, tasse universitarie e trasporto pubblico, come indicato nell’articolo 51 del TUIR. Spese non contemplate dai fringe benefit.
Di conseguenza, in una situazione in cui la nuova norma rischia di creare squilibri interni, il welfare puro promuove una cultura aziendale inclusiva e si dimostra un reale impegno verso il benessere dei dipendenti e delle loro famiglie. Consente ai dipendenti con figli di ottenere un sostegno adeguato per le spese rilevanti per loro, e rappresenta uno strumento più appetibile per le aziende grazie alla defiscalizzazione e decontribuzione totale.
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