Si parla molto di welfare aziendale in questo periodo. In seguito alla carenza ormai cronica di personale, le aziende cercano di rendersi appetibili sul mercato del lavoro offrendo ai propri dipendenti, o a nuovi candidati, il welfare aziendale. Si tratta davvero di un impegno sociale reale per aumentare il benessere dei lavoratori o di un tentativo di socialwashing? Cerchiamo di comprendere meglio il fenomeno per non caderne vittime.

Cos’è il socialwashing ed i rischi ad esso legati

La comprensione del proprio impatto sociale e le iniziative per migliorarlo rappresentano per le aziende un elemento importante per gestire consapevolmente la propria attività. Questo è un fattore sempre più rilevante, che si affianca alla normale attività economica d’impresa e ad una sensibilità verso i temi ambientali che è cresciuta nel tempo. Anche una recente ricerca, l’Edelman Trust Barometer 2022, evidenzia che i diversi stakeholder richiedono alle aziende italiane di assumere un ruolo più “sociale”, senza però sconfinare nella politica. Consumatori e stakeholder sono quindi sempre più attenti ai valori che le aziende prendono come riferimento nel portare avanti la loro attività. E sono proprio le aziende che dimostrano di integrare valori etici alla loro strategia d’impresa che vengono premiate, sia dai consumatori che dagli investitori, vedi i fondi ESG. Queste aziende ottengono un beneficio aggiuntivo, quello di migliorare la loro immagine e reputazione, favorendo anche una maggiore conoscenza del marchio.

Sono proprio questi vantaggi che spingono alcune aziende a dichiarare di seguire una condotta sociale etica ma in realtà non si impegnano seriamente nel farlo, limitandosi ad interventi superficiali ed occasionali comunicandoli però come impegno sociale. Questa attività “di facciata” si chiama “socialwashing”. La parola ci rimanda al più noto “greenwashing”, ossia quelle strategie di comunicazione volte a persuadere i consumatori che i prodotti, gli obiettivi e le politiche di un’azienda sono rispettosi dell’ambiente, fornendo informazioni non veritiere con lo scopo di migliorare l’immagine aziendale. 

Il socialwashing, così come il greenwashing, sono pratiche ingannevoli, spesso difficili da identificare e da misurare. Ma il pubblico è sempre più informato, sempre più attento e collegato, per cui dichiarazioni poco sincere possono portare alla diffidenza o, nei casi più gravi, a seri danni di credibilità ed immagine per le aziende. Inoltre, l’attenzione a questo tema è arrivata soprattutto da società di investimento, per mettere in guardia le aziende dai rischi che la pratica comporta e che può penalizzarle di fronte a potenziali finanziatori.

Il welfare aziendale comunicato e quello reale

Il welfare aziendale nasce come strumento a disposizione di tutte le imprese per aumentare il benessere dei lavoratori, aiutarli a conciliare gli impegni privati con quelli lavorativi, aumentarne il potere d’acquisto, ecc. Certo, per incentivarne l’utilizzo sono previsti notevoli vantaggi per le aziende che lo attivano, sia fiscali che indiretti come l’aumento di produttività, il minor turnover, maggior capacità di attraction e retention dei talenti data da un miglioramento del clima organizzativo, ecc. ma lo scopo primario rimane il benessere delle persone.

Il welfare aziendale è innovazione dei modelli di business, consente agli imprenditori di portare avanti il loro impegno sociale attraverso attività concrete e integrate nella loro strategia aziendale. Nel suo DNA vi sono valori sociali quali la parità di genere e di opportunità, l’inclusione, la promozione della salute, lo sviluppo professionale personale e quello di comunità e territori, che si stanno sempre più affermando anche tra le imprese, come testimonia il numero crescente di Società Benefit.

Come si concretizzano piani welfare in linea con le caratteristiche originarie di questo strumento? Partono da un’analisi di ciò che va migliorato in azienda, sia per la dirigenza che per il personale. Spesso sono utili delle analisi di clima aziendale che danno un quadro più preciso delle aree su cui agire. Questa diventa la base per orchestrare tutte le attività di welfare necessarie per ottenere i risultati attesi, identificando le metriche di valutazione che serviranno per monitorare l’andamento del piano. 

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Non crediamo che la semplice attivazione di una piattaforma per fornire buoni carburante o buoni spesa sia ciò che i lavoratori desiderano per aumentare il loro benessere. Può forse servire per adempiere a degli obblighi di legge, come quelli che hanno le aziende metalmeccaniche, o ottenere dei vantaggi fiscali. Forse è uno specchietto per le allodole per potersi dichiarare attenti alle esigenze del personale e con un ambiente di lavoro motivante.

Il welfare aziendale efficace si concretizza in percorsi strategici opportunamente creati e monitorati, in cui intervengono, tra le altre, attività quali la formazione per i dipendenti, chiare politiche retributive omogenee per lavoratori e lavoratrici, asili nido interni, servizi di trasporto, ecc.

Il valore della consulenza welfare

Molte aziende pensano di poter fare welfare aziendale da sole, rivolgendosi ad una piattaforma o chiedendo qualche consiglio a figure professionali di loro conoscenza che hanno però competenze in altri settori. Questo determina sia la bassa qualità dell’offerta di welfare per i loro dipendenti che una mole di lavoro extra per i responsabili delle risorse umane, molto spesso impreparati a gestire una materia particolare che richiede una professionalità specifica. 

Oltre a conoscere cos’è il welfare aziendale, qual è la normativa che lo disciplina, le opportunità che offre e i suoi limiti, serve una figura esperta che possa sollevare l’azienda da carichi di lavoro extra e assicuri l’efficacia del piano welfare.

Questo è possibile grazie al consulente welfare, che ha conoscenze specifiche di welfare aziendale, che includono anche, ma non solo, le risorse umane e la disciplina giuridico-fiscale relativa. Il suo compito è quello di creare piani di welfare partendo dagli obiettivi e dalle esigenze della dirigenza e dei lavoratori, selezionando dalle molte possibili iniziative quelle più adatte per ciascuna realtà, occupandosi al contempo della comunicazione con le parti sociali laddove presenti e con i dipendenti per informarli e formarli sull’utilizzo del piano welfare. Infine, si occupa di monitorare il piano e fornire al reparto risorse umane i report periodici, diventando l’interlocutore con cui l’azienda ha un rapporto personale e diretto.

Solamente avendo la padronanza necessaria della materia, è possibile creare dei piani di welfare “reali”, che portino sì vantaggi alle aziende, ma soprattutto che siano espressione di un impegno sociale concreto e duraturo per realizzare una vera responsabilità d’impresa e non sporadiche attività di socialwashing.